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Deslucida Asamblea de la OEA
Sesionó en Lima, capital de Perú, la asamblea general número 52 de la Organización de Estados Americanos, la OEA. Fue la primera asamblea general de la OEA tras dos años de suspensiones por la pandemia de la Covid-19.
El gran título de la Asamblea General de la OEA tiene que ver con el futuro inmediato del secretario general del organismo, Luis Almagro.
II. CHE GUEVARA – Inchiesta su un mito: Le cause del fallimento
Versione con sottotitoli in spagnolo
CHE GUEVARA – Inchiesta su un mito. PARTE II: Le cause del fallimento di Roberto Savio
Riprese filmate di Franco Lazzaretti e di Giorgio Attenni, Antonio Eguino, Aldo Scarpa.
Hanno collaborato: Danilo Baroncini, Dina Nascetti, Empedocle Maffia.
Montaggio di Luciano Benedetti.
Documentario inedito in tre parti realizzato da Roberto Savio (giornalista, corrispondente della RAI per l’America Latina) nel 1972.
Un’inchiesta sul Che con intervista al soldato che lo uccise.
Parte I – Nascita di un guerrigliero
Parte II – Le cause del fallimento
Parte III – Morte di un guerrigliero
Cortesia di Roberto Savio
Questo servizio sul Che, ci permette di ascoltare persone che non é più possibile intervistare. Molti come Salvador Allende, sono morti poco dopo. Vi è l’unica intervista che ha rilasciato il Segretario Generale del partito Comunista Boliviano, Mario Monje, che nomn aveva mai risposto agli attacchi ricevuti da parte di Cuba e di Fidel C astro; così come l’unica intervista al contadino che delatò il Che alle truppe boliviane, e del sergente che l’ha ucciso nella scuola della Higuera dove il Che si trovava ferito.
Questa è la versione originale della lunga inchiesta sul Che Guevara, realizzata nel 1972 e che finì di montare nei primi mesi del 1973. Il documentario non è mai stato trasmesso. La RAI, dove ero il direttore dei servizi giornalistici per L’America Latina, lo considerò politicamente inopportuno.
L’allora direttore dei servizi giornalistici, Willy De Luca, quando finí di visualizzare sulla moviola il montaggio finale mi disse: Roberto, questo servizio non fa piacere ai cubani, non fa piacere ai sovietici, non fa piacere agli americani. A chi serve?
Il mio capo diretto, Sergio Zavoli, che era venuto nel mio ufficio tutti i giorni durante due mesi di lavoro di montaggio, e non aveva mai detto una sola parola contraria disse: «Willy, sono totalmente d’accordo con te. Non l’avevo mai visto».
Morale della favola: sarebbe stato meglio lasciare da parte per un po’ di tempo questo enorme lavoro giornalistico. Ma mi dettero come premio un viaggio di un mese nel luogo del mondo che scegliessi, con tutte le spese a carico della RAI.
E fu così che partii per il Giappone, dove ricevetti un telegramma dal montatore Luciano Benedetti, (all’epoca non c’era il fax e molto meno l’ internet), nel quale mi informava che de Luca e Zavoli stavano rimontando l’inchiesta. Mandai una telegramma, avvertendo che, anche se il materiale apparteneva alla RAI, non doveva essere firmato con il mio nome. Al che Zavoli rispose che la qualità del materiale non li esimeva dalle loro responsabilità.
Ritornato in Italia, feci una dichiarazione ai critici televisisi, indicando che non avevo visto la trasmissione italiana firmato con il mio nome ( con una durata molto ridotta ) e che non avevo nessuna opinione su di essa. Volevo solo lasciare in chiaro che non era di mia responsabilità.
Questo suscitò un grande scandalo. De Luca mi convocò per dirmi che io ero allo stipendio dalla RAI, e che quindi potevano disporre della mia firma. Non accettai questa tesi, litigammo e fui destituito come direttore dei servizi per l’America latina. Mi destituirono dal mio incarico, e mi misero a disposizione della RAI, lasciandomi in attesa a casa. Avevo un certo prestigio come giornalista. Poco prima, nel 1970 avevo vinto il premio St. Vincent, equivalente al premio nazionale di Giornalismo, proprio con una serie di servizi sull’America Latina. Ero quindi considerato parte del sistema, ed era quindi da aspettarsi che fossi richiamato a farne parte, prima o dopo.Magari da qualche altra direzione della RAI…
Ed ecco che pochi mesi dopo, in una delle tante riorganizzazioni della RAI, che venivano fatte con ogni cambio di governo in Italia, Willy De Luca passò ad essere Direttore Generale e Sergio Zavoli Presidente. Con questo cambio di direzione mi arrivò una lettera di licenziamento. Feci causa, ed il Tribunale condannò la RAI a pagarmi un risarcimento e ad essere restituito nella mia carica. Presi il risarcimento e poi seguii il mio cammino, che era quello di creare strutture per un giornalismo alternativo al sistema commerciale.
Mentre De Luca e Zavoli rimontavano l’inchiesta della inchiesta, riducendola da tre puntate a due, cestinavano tutto il girato, con il quale io il materiale con il quale io pensavo fare due altri servizi. Fu un grande spreco, perché si trattava di un materiale sul ruolo della CIA in America Latina ed una buona quantità di interviste uniche. Ma ho avuto la fortuna che il montatore rubò una copia di lavoro della versione spagnola, che non sapevano stessi montando allo stesso tempo. Ormai posso rivelarlo….
Questa è la copia di lavoro e che ora compie 42 anni, e che potrete vedere. Da essa si doveva ottenere la copia finale, ben rifinita, cosa che non è stato possibile fare. Essendo di bassa qualità, sará necessaria una gran pazienza e certa immaginazione….Se il documentario fosse uscito allora, credo che avrebbe avuto molto impatto, anche perché molto poco è stato aggiunto da allora sul Che….
La inchiesta sul Che, «inchiesta su un mito», è divisa in tre parti. Le prime due sono di un’ora e la terza di 76 minuti. Sono tre parti, concepite e realizzate in modo diverso… La prima, il viaggio del Che sino al suo arrivo in Cuba, è una tipica inchiesta di ricostruzione storica. La seconda è un classico servizio giornalistico sulla morte del Che. Nel 1972, la posizione ufficiale boliviana era che il Che fosse morto in azione, e questo lavoro fu il primo a smentirla. La versione trasmessa dalla RAI lasciò passare quel messaggio.
La terza puntata, che è la più importante, venne elaborata come uno spazio di scoperta e di riflessione, una formula giornalistica che a in quel momento era una gran novità. Come era una novità che il giornalista sparisse, ed il pubblico fosse il diretto destinatario degli intervistati.
Ovviamente, da allora il linguaggio televisivo è totalmente diverso. È il tempo della narrazione che è totalmente cambiato. Oggi sarebbe impensabile fare interviste di più di cinque minuti. Il sogno dell’intervistatore adesso è quello di ottenere una risposta più corta della sua domanda. Twitter, Facebook, Whatsapp, e gli altri mezzi di comunicazione di massa, hanno portato nuovi ritmi e nuove formule di linguaggio. Ma certamente, non hanno aiutato all’analisi ed alla contestualizzazione.
Anche se incontrai il Che, l’inchiesta è stata costruita presentando il Che attraverso coloro che l’hanno conosciuto, dalla sua guardia del corpo che complottava per ucciderlo, fino al contadino che lo denuncia ed al sergente che pone fine alla sua vita. In questi servizi, il giornalista, volutamente scompare dallo schermo e fa solo domande, le stesse che avrebbe fatto lo spettatore, che cosi’ si sente in dialogo diretto con la realtà.
Il mondo è profondamente cambiato dal 1973, ma le ragioni del Che per cercare di fermare il cammino della coesistenza pacifica, diventano oggi più evidenti. Al di la della razionalità e del realismo del cammino che lo porta a morire in una piccola scuola di un paesino delle Ande Boliviane, non c’è dubbio che stiamo andando verso impressionanti livelli di disuguaglianza sociale ed un sistema finanziario senza controlli.
Secondo Oxfam, nel 2025, l’ Inghilterra ritornerà agli stessi livelli di ingiustizia sociale dei tempi della regina Vittoria. A quell’epoca un filosofo sconosciuto, Karl Marx, scriveva nella biblioteca del British Museum le sue denunce contro lo sfruttamento di donne e bambini… Possiamo considerare folle ed avventuristico il cammino del Che, ma dobbiamo rispettare la sua forma di sacrificio personale. Ernesto Guevara era convinto se si fosse posto fine al cammino dello scontro con capitalismo, il risultato sicuro sarebbe stato il ritorno ad un epoca di sfruttamento e di ingiustizie.
La visione di questa inchiesta permetterà di vedere ? alle vittime disposte ad investire più di tre ore per vedere un materiale di cattiva qualità ? un mondo diverso. Un mondo del quale la politica significava idee e visioni, non efficienza amministrativa. Nella quale c’era gente disposta a morire per i suoi ideali, per sbagliati che fossero. Un mondo nel quale «giustizia sociale» e «solidarietà» erano parte del linguaggio politico, oggi invece eliminati. Un mondo nel quale i cittadini credevano che il cambio fosse possibile, e coloro che lo chiedevano, pensavano che i difensori dello status quo si reggevano solo grazie all’uso delle armi.
Oggi, purtroppo, lo status quo non ha più bisogno delle armi. È la che controlla lo status quo, l’arma più terribile della conservazione. È la mancanza di una politica di valori e di visione, che mantiene lo status quo. Viviamo In un mondo dove si spende di più in pubblicità per persona che in educazione,e dove il mercato è diventata il suo riferimento, non l’uomo.
Credo che alla fine della inchiesta scopriremo che dentro di ognuno di noi c’è un piccolo Che…E che la utopia non muore mai, dentro di noi… occorre solo svegliarla…
Roberto Savio
Que pasó la semana que pasó
Informativo semanal producido por el programa «Esquina América» del «Centro de Estudios de Integración Latinoamericana Manuel Ugarte» y MegafonTV de la Universidad Nacional de Lanús.
Resumen de la primera semana de octubre: el presidente mexicano Andrés Manuel López Obrador propuso a Alicia Bárcena, la ex jefa de la CEPAL –la Comisión Económica para América Latina y el Caribe- para presidir el Banco Interamericano de Desarrollo. “Es una mujer excepcional, muy
preparada, con muy buenas relaciones con todos los gobiernos», dijo AMLO. Estados Unidos presiona para que el nuevo gobierno de Colombia no permita operaciones de la aerolínea estatal venezolana Conviasa. En Brasil, Lula ganó la primera vuelta y definirá el balotaje contra Bolsonaro.
Venezuela y el conflicto del Esequibo
DESDE EL SUR.- El Esequibo es un extenso territorio en reclamación de más de 160 mil kilómetros cuadrados, por parte de Venezuela a la República Cooperativa de Guyana. Se trata de zonas ricas en minerales, y también en petróleo en altamar, donde operan con permisos de Guyana empresas estadounidenses. En 2015, Exxon perforó con éxito un primer pozo en el bloque Stabroek y hace poco, reportó una producción mayor a los 340 mil barriles por día.
El problema es que el bloque Stabroek está dentro de la zona de proyección en altamar del territorio en reclamación por parte de Venezuela. En total, se calcula que frente a las costas de la zona en reclamación puede haber reservas por unos 10 mil millones de barriles. Esta producción offshore puede superar la de EU, México y Noruega.
Así esta vieja disputa territorial, una de las pocas que subsisten en América junto al reclamo argentino por la Islas Malvinas, se activó y como Estados Unidos no disimula sus intereses en todo el pretendido patio trasero, adiciona otro elemento de tensión en la complicada relación entre Venezuela y la Casa Blanca. Un análisis de Marcos Salgado
Lula recibe apoyos para la segunda vuelta
Ya arrancó en Brasil la campaña de cara a la segunda vuelta presidencial del 30 de octubre entre el expresidente Lula da Silva, quien recibió los apoyos de los excandidatos centristas Ciro Gomes y Simone Tebet, y el actual mandatario ultraderechista Jair Bolsonaro, quien sumó de los gobernadores reelectos de Paraná, Brasilia y Río de Janeiro.
Ya comenzó la guerra de las encuestas. Pero es difícil confiar en ellas luego de los resultados de la primera vuelta. Hasta ahora, los dos candidatos parecen listos para reforzar los discursos de la primera vuelta: Lula explicando que él ya recuperó de la crisis una vez al Brasil y puede volver a hacerlo, y Bolsonaro agitando el fantasma del comunismo y valiéndose del amplio triunfo en las gobernaciones y en el congreso, para estirar su racha.
Gobierno de Petro y ELN retoman diálogos
En La Casona, la antigua residencia presidencial de Venezuela, quedó formalmente establecida la retoma de los diálogos de paz entre el gobierno de Colombia y la guerrilla de Ejército de Liberación Nacional, el ELN.
Se trata de un diálogo complejo y trabado, que comenzó hace diez años, y se congeló durante el gobierno de Iván Duque. Los jefes guerrilleros encabezados por el comandante Antonio García y el Estado colombiano representado por el nuevo comisionado de paz, Iván Danilo Rueda, se mostraron en Caracas junto a los garantes de Cuba, Venezuela y Noruega.
La “paz total”, objetivo central del presidente Petro en Colombia parece avanzar rápido y a paso firme, de la mano de una nueva voluntad política aunque todo el mundo sabe que no faltan las acechanzas.
Discurso bajo la lluvia: Cierre de campaña de Chávez en 2012
MEMORIA VIVA.- Discurso completo del Comandante Hugo Chávez en la avenida Bolívar, el 4 de octubre de 2012, en el cierre de campaña para las elecciones presidenciales.
Blinken: alinear el patio trasero
Antony Blinken, jefe de la diplomacia estadounidense, aterrizó el lunes en Colombia, primera parada de un viaje que continuará en Chile y Perú, donde asistirá a la asamblea anual de la Organización de Estados Americanos, y en la cual tratará de convencer a los países de la región de abstenerse de mantener relaciones comerciales con China, en nombre de la “democracia”.
Los medios globales advierten sobre el nuevo fantasma que está recorriendo la región: el avance de grandes empresas chinas, asumiendo como propio el temor de Estados Unidos expresado por la jefa del Comando Sur, que ve amenazado su dominio actual sobre el Triángulo del Litio, advirtiendo la incipiente presencia de China y Rusia: “Están allí para socavar a Estados Unidos, están allí para socavar las democracias”, dijo Laura Richardson.
QUE PASÓ LA SEMANA QUE PASÓ
Informativo semanal producido por el programa «Esquina América» del «Centro de Estudios de Integración Latinoamericana Manuel Ugarte» y MegafonTV de la Universidad Nacional de Lanús.
Resumen de la cuarta semana de septiembre: Colombia y Venezuela concretaron la reactivación de su frontera terrestre.
Lula y Bolsonaro a segunda vuelta
EN FOCO.- Lula da Silva, de nuevo candidato a la presidencia revalidó su condición de líder de masas en el país más grande de América Latina: alcanzó más de 56 millones de votos, para ubicarse en el 48,26 por ciento de los sufragios, contra el 43,34 por ciento de Jair Bolsonaro, actual presidente, que logró un apoyo que pocos pronosticaban.
A pesar de la tranquilidad que quiso transmitir Lula a sus militantes, el mes que se abre en Brasil tiene costados inciertos. ¿Se envalentonará la derecha bolsonarista? ¿Que harán los militares? ¿Hay espacio para más violencia política, como la que ya apareció durante la campaña para la primera vuelta? Y además, claro, las matemáticas electorales: ¿puede crecer más Lula para asegurar la victoria? ¿Puede crecer más Bolsonaro o llegó a un techo inesperado?